venerdì 28 novembre 2008

ACIDO, IL MANIFESTO E LA RINCORSA IMPOSSIBILE

Articolo molto illuminante e disincantato sull'evoluzione delle pratiche legate al doping su IL MANIFESTO di mercoledì 26 novembre. LASCIATE OGNI SPERANZA...
Matteo Lunardini cita Acido per capire cosa gira nel cervello di chi fa la scelta farmacologica, e "Campioni senza valore" di Sandro Donati per una "storicizzazione" della delicata faccenda.


DOPING
La rincorsa impossibile
Aicar e Gw1516, due nuovi prodotti proibiti testati sui topi-maratoneti aggiornano il codice Wada
Matteo Lunardini


La lotta al doping ricorda la rincorsa impossibile di Achille sulla tartaruga. Così come il «piè veloce», anche la Wada (Agenzia mondiale anti-doping) e le varie federazioni sportive nazionali sembrano combattere una battaglia persa in partenza: non appena riescono a individuare la nuova sostanza utilizzata per alterare le prestazioni sportive, il progresso farmaceutico e la sperimentazione si sono già spostati su una nuova diavoleria, il nuovo prodotto miracoloso. Per questo quando Ronald Evans, ricercatore dell'istituto Salk di La Jolla in California, si è trovato davanti ai risultati della sua ultima ricerca non ha perso un secondo: ha informato immediatamente la Wada dei pericoli, costringendo l'autorità a presentare un nuovo codice antidoping. Due nuovi prodotti, l'Aicar e il Gw1516, stimolanti del metabolismo dei mammiferi, erano stati testati sui cosiddetti «topi-maratoneti». E avevano dato risultati strabilianti. I topi trattati con Gw1516 (una sostanza studiata per combattere l'obesità) mostravano un rendimento nella corsa del 70% superiore rispetto ai topi non dopati. Ma non era niente in confronto al prodigio ottenuto grazie all'Aicar, un Attivatore Mitocondriale che, secondo le stesse parole di Evans, «fa credere ai muscoli che si allenino tutti i giorni». Con l'Aicar i topi fannulloni, senza neanche un secondo di allenamento, si vedevano aumentare del 45% il loro rendimento, per il giustificato risentimento dei topi-maratoneti più allenati.
Una doccia fredda per tutto il movimento della lotta al doping, impegnato in questi mesi nella battaglia contro il Cera, l'Epo di nuova generazione. Solo in Italia, due nuovi casi negli ultimi mesi. Roberto Barbi, maratoneta di Bagni di Lucca, è uno di quegli atleti che, in fatto di adulterazioni, non si è mai fatto mancare niente. Beccato una prima volta per efedrina, fu il primo atleta della storia ad essere squalificato per Epo nel 2001, dopo i Mondiali di Edmonton. Il «keniano di Lucca» fu sospeso per 4 anni, pena poi ridotta a 25 mesi in seguito a una collaborazione. Raccontò di aver acquistato attraverso internet la nuova sostanza dopo aver fatto incetta di vecchie stregonerie presso le farmacie svizzere, apprezzate nell'ambiente perché smerciano di tutto senza fare particolari domande. Reintegrato, è stato sorpreso alla mezza maratona di Mende di quest'anno con il Cera nel sangue. Probabilmente sarà radiato. Il secondo a cadere nella rete anti-doping è il maratoneta Alberico Di Cecco, risultato positivo all'Epo in un test effettuato in occasione del Campionato italiano di Carpi, il 12 ottobre scorso. Il Carabiniere, nono alle Olimpiadi di Atene 2004, una vittoria alla Maratona di Roma del 2005 in 2 ore e 08, era già stato coinvolto in un'inchiesta antidoping della Procura della Repubblica di Torre Annunziata nel 2006. Le sue telefonate col gestore di una palestra di Angri tessevano le lodi «dell'incredibile Hulk», un nuovo prodotto acquistato in Cina e non ancora monitorato dall'anti-doping. Il maratoneta abruzzese allora fu prosciolto, ora andrà incontro ad una lunga squalifica.
Due casi isolati, certo, niente in confronto al ciclone che si è abbattuto sulla federazione russa, le cui squadre di marcia e fondo in questi ultimi mesi sono state falcidiate dalle squalifiche. Una quindicina di atleti, tra cui recordmen e campioni del mondo, sono stati trovati positivi durante controlli a sorpresa. Avevano assunto Epo e Carfedone (Il Carfedon è un fenil derivato del Nootropil, che aumenta la resistenza fisica e al freddo). La Federazione russa si è difesa colpevolizzando gli atleti e l'oramai incontrollabile mercato di sostanze dopanti, ma la Iaaf, la federazione internazionale dell'atletica leggera, è stata molto severa con medici e allenatori, tanto da aver previsto forti sconti di pena per gli atleti che forniranno i nomi di quelli coinvolti. Il nostro Alex Schwarzer, dopo aver vinto la 50km di marcia a Pechino, ha dichiarato di aver trovato ulteriori stimoli ad allenarsi dal sapere che i suoi rivali russi più quotati avevano valori ematici fuori norma. Sul sangue dell'altoatesino garantisce la credibilità che circonda i suoi allenatori e lo staff della marcia azzurro. Più che i controlli sull'atleta infatti (i test anti-doping a fine gara mostrano sempre più la loro inefficacia) conta l'ambiente che circonda l'atleta. Le tentazioni, soprattutto nelle lunghe fasi invernali di allenamento senza gare, sono molte. Allenatori maneggioni, stregoni tutto fare, farmacisti afoni, il solito tam-tam della «gente del giro», e dall'aspirina si passa a qualcosa di più. L'associazione Libera ha quantificato in 600 milioni di euro l'anno il giro d'affari sul doping in Italia. Ma la cifra è destinata ad aumentare, soprattutto perché il fenomeno ha contagiato anche le categorie amatoriali.
Per capire quale sia il percorso che conduce un atleta verso l'uso compulsivo di dopanti, due libri possono chiarire le idee. Nell'ormai introvabile Campioni senza valore, il tecnico della Federazione di atletica leggera Sandro Donati (poi membro della Commissione scientifica anti-doping del ministero della sanità) descriveva il clima che si respirava negli anni Ottanta nell'ambiente dell'atletica leggera azzurra, allorché gli italiani si scoprivano improvvisamente grandi fondisti grazie ai trattamenti sul sangue operati dal prodessor Conconi. Partecipare ai test di emotrasfusione oppure sottrarsi dipendeva spesso più dall'allenatore che dall'atleta. Alcuni tecnici chiudevano un occhio, altri suggerivano, molti facevano capire il loro punto di vista senza esporsi. Quei pochi, come Sandro Donati, che li combattevano erano messi in un angolo. Ma per capire cosa frulli nella testa di un giovane che percorre le vie del doping, il romanzo di Saverio Fattori, Acido Lattico (Gaffi Editore 2008), può essere un buon punto di partenza. Il protagonista è un mezzofondista di una importante società milanese senza alcun interesse fuorché la corsa, cui alcuni allenatori senza scrupoli hanno insegnato lo sport come sopraffazione dell'avversario e la sconfitta come fallimento, il quale si avvicina al doping fino a diventarne schiavo (e malato). La sua ossessione lo porta a collezionare piccole biografie di atleti falliti, perché il fallimento è per questi ragazzi, e per gli allenatori che sui loro allori si costruiscono una carriera, il nemico da combattere. I collezionati sono atleti veramente esistiti, la società d'appartenenza del protagonista pure, il campo d'allenamento è il plurimedagliato XXV aprile di Milano, gli allenatori che spingono all'uso di sostanze dopanti sono tesserati Fidal. Tutto il resto è inventato. Un libro scandalo? Sulla questione la Federazione ha fatto calare un silenzio assordante.
(ha collaborato Michele Cristofani).

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1 Commenti:

Blogger sartoris ha detto...

regalerò in giro il tuo libro per natale, Saverio.
regards
OMAR

12 dicembre 2008 alle ore 21:28  

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