venerdì 3 ottobre 2008

ROMA CULTURA SU ACIDO ( intervista di Marta Baiocchi)

Un mezzofondista dai risultati sempre più promettenti viene messo dai suoi allenatori di fronte alla decisione di usare sostanze dopanti. Laggiù all’orizzonte, il miraggio abbacinante delle olimpiadi di Pechino. Ma la scelta è una scelta obbligata, e Claudio Seregni sta per entrare in un incubo fatto di ambiguità e incertezza: la sua ambizione sta per prendere tutta la sostanza dell’ossessione.
Quando Clara, una ragazza che è stata anni prima una promessa dell’atletica poi inspiegabilmente scomparsa dalle scene, e che lui ha rintracciato tramite Internet, smette all’improvviso di rispondere alle sue e-mail, Claudio non si rassegna a lasciarla scomparire nel mistero.
Più che un libro sul doping, più che un giallo su una donna scomparsa, questo romanzo è una metafora delle ossessioni e delle paure dell’uomo contemporaneo in una società in cui l’essere umano appare sempre più come un meccanismo fatto di bulloni da stringere e da oliare, a cui l’unica cosa che si richiede è di “funzionare”.

MB: Tu hai un passato di atleta, e continui ad allenarti. Cosa della tua esperienza è entrato in questo libro?

SF: Gareggio tuttora a livelli decenti. Ho fatto atletica da bambino, poi ho ricominciato a 25 anni e sono diventato quello che si definisce in gergo un “amatore evoluto”, un middle class delle corse di mezzofondo, per intenderci. Non uno davvero forte, né uno che corre solo per stare in forma e raccontarlo in ufficio. Forse è la “giusta distanza” per capire la psicologia dell’atleta professionista. Né colluso, né inconsapevole. Con Claudio Seregni indago una parte di carriera che non ho vissuto, non sono mai stato forte come lui, a un passo dal sogno, non mi sono trovato davanti a scelte di doping quasi obbligate.

MB: So che per questo libro ti sei documentato sugli aspetti farmacologici delle sostanze che nomini, ma dalla tua narrazione non esce un giudizio definitivo, “clinico”, sul doping. Che significato ha questa tua scelta narrativa?

SF: Credo in una narrativa che rappresenti al meglio la complessità della natura umana, alla fine mi concedo un colpo di scena anti-manicheo. Non volevo una crociata contro il doping, non sono moralista, odio l’atteggiamento del cittadino indignato che pensa di capire tutto con qualche telegiornale idiota. Voglio fare entrare il cittadino indignato dentro alla mentalità di un atleta che fa la scelta sbagliata. I ciclisti professionisti fanno vite disperate, non riescono a farmi rabbia, ho pietà di loro. L’ultimo episodio dello scalatore Sella è devastante. Si allenava nelle sue zone travestito… per non farsi beccare dal pool dell’antidoping… Però nemmeno lo giustifico, soprattutto non sopporto gli atleti amatori che ne fanno uso. Il romanzo fila via su una linea piuttosto incerta. La nostra esistenza è incerta, siamo deboli. Alla fine tu hai colto uno dei punti importanti del libro, non esce un giudizio definitivo sull’aspetto farmacologico perché l’uomo torna al centro di tutto, sarà il doctor, un medico bombatore, a far capire a Claudio Seregni che senza l’atteggiamento mentale giusto nemmeno l’Epo farà di lui un atleta olimpico.

MB: Il tuo romanzo, più che un romanzo sullo sport, è la storia di un’ossessione. Cos’è l’ossessione per te?

SF: Per me è il fulcro di ogni romanzo, è l’onesta intellettuale che fa sì che uno scrittore non scriva cose inutili. Penso a Genna, al suo Dies Irae, a come tutto converga a spirale fuori e dentro a quel pozzo di Vermicino. Per me è stato facile trovare aspetti maniacali nel mondo dello sport, per speculazione narrativa ho forzato la mano, magari neanche tanto… Un atleta è ossessionato dalla disciplina quotidiana. Fa due allenamenti al giorno, tutta la giornata è impostata su questi due appuntamenti, deve avere una vita con poche variabili, dormire almeno sette ore, non deve ammalarsi, è troppo facile compromettere mesi di preparazione per qualche batterio o virus. Tutto quello che abbatte globuli rossi è il demonio. L’atleta non può pensare troppo, non deve conoscere nevrosi o depressione. Per me correre tutti i giorni ha aspetti patologici. Se non corro per più di due giorni ho i complessi di colpa, ci sono crisi di astinenza. Voglio continuare a gareggiare, ogni settimana, a fare buoni tempi per mantenere la forbice della performance stretta, corro sempre al massimo anche in garette non premiate, come un pazzo, oltre tutto i premi sono comunque inadeguati all’impegno. Voglio mantenere una sospensione di giovinezza, sono affetto da Peter Panisimo atletico. Ecco cos’è l’ossessione per me.

MB: Claudio Seregni, il tuo protagonista, non ha nessuna caratteristica dell’eroe buono, è un personaggio duro, spesso sgradevole, che viene fuori con grande realismo psicologico.

SF: E’ una persona agghiacciante, specie all’inizio del romanzo. Totalmente concentrato sulla carriera atletica, chiuso a riccio, importano solo i suoi allenamenti, il resto è rumore di fondo. Poi a causa di un trauma si umanizza e come atleta perde forza. O sei un vero uomo o sei un vero atleta. Non puoi essere tutte e due le cose. Sembra questa la morale di Acido Lattico. Non è la verità assoluta. Non mi occupo di verità, non pretendo di trovarla da qualche parte. È la verità parziale, la verità di Acido Lattico. Come atleta Claudio inizierà a perdere colpi. Non so se almeno diventerà un bella persona.

MB: Le proposte di boicottaggio alle olimpiadi di Pechino sono al centro del dibattito in questi ultimi mesi. Cosa penserebbe del boicottaggio Claudio Seregni?

SF: Nell’incipit metto subito le cose in chiaro dal punto di vista politico. Claudio è razzista a tutto tondo, detesta i ragazzi con gli standard di abbigliamento di sinistra come i fichetti che affollano i locali alla moda all’ora dell’aperitivo. Ha una sua idea pericolosa di pulizia e ordine. Comunque non vota e non muoverebbe un acaro in favore di nessuno che non sia Seregni Claudio, non troverebbe il Tibet nel mappamondo. Penso a quegli artisti che durante le dittature non prendono posizione. Per loro esiste solo il proprio talento e i benefici connessi. E Claudio è solo, la solitudine più sterile, poi come mette la testa fuori dal guscio prende subito un mazzata tremenda. Per quello non posso fare ipotesi sulla sua vita futura fuori dalla pista.

Marta Baiocchi


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