giovedì 10 settembre 2009

ACIDO AI MONDIALI. PRESIDIO ALL'HOTEL BERLIN, BERLIN

Berlino - L'atletica con la città intorno (pezzo uscito su www.correre.it)

CORRERE.IT



Strana idea le ferie a Berlino nei giorni dei Mondiali di atletica. Rischio di dissociazione mentale, di pensieri fuori sincrono, la concentrazione è spostata altrove. Visitare il Pergamon Museum pieno di idoli greci di pietra mentre a mezz’ora di metropolitana quelli di carne combattono all'Olympiastadion in diretta nella Storia, non è sano. È innaturale. Allo stadio poi ci sono stato. Biglietti acquistati on line con buon anticipo per il giorno della finale dei diecimila. Il 17 Agosto. The Day After. Ventiquattrore di ritardo sulla Storia. L'energia del 9"58 non si è ancora dispersa, fa una tempesta molecolare con la rabbia del mio rimpianto. Sono in quinta fila proprio nella zona della partenza dei velocisti, poco sotto di me vedo come fossero nel mio salotto di casa i loro tic e rituali, la guerra delle espressioni facciali, il loro sguardo fisso su una linea di orizzonte per nulla immaginario. Ma è la serata sbagliata. È quella della semifinale e finale, sì, ma della gara femminile. Quando avevo prenotato il biglietto mi era sembrata un'ottima idea. Oggi molto meno. Mi consolo con la premiazione della gara del giorno prima. Quando la muta dei fotografi viene lasciata libera di immolare le tre statue di carne mi scappa quasi un riso isterico, scendono come pazzi i gradoni verso il podio rischiando l'osso del collo. Tyson Gay è tristissimo. Di una tristezza secolare, i tratti del suo viso e la divisa Nike old style sono già una narrazione. 9"71 la gente se lo scorda. Destino infame. Powell sembra aver elaborato la sconfitta, è ormai docile, in finale finalmente ha deciso di correrli tutti i cento metri, fino in fondo. È il suo curioso gesto di resa.

Bekele nella sua perfetta prevedibilità è snervante, anche se vedere a pochi metri correre un diecimila under ventisette è un'esperienza straniante, sono come ipnotizzato e solo il giorno dopo riuscirò a mettere a fuoco meglio, nell'incedere di questi atleti non c'è nulla di “muscolare”. È una specie di scivolamento. Non pretendo simpatia da un fenomeno come Bekele e per me può succhiare tutte le ruote che vuole, non rientra nel“penale”. Non è questo il problema. A lui manca solo un Tergat, una magnifica vittima da immolare negli ultimi quattrocento perché l'epica si compia al meglio, ma le sceneggiature non sempre sono miracolose, tutto è ciclico, l'era di Bekele non prevede avversari con una identità forte come quella del Signore della Corsa. Per il resto non ci sono italiani. Da tempo. Ma non ci sono francesi, non ci sono scandinavi, non ci sono inglesi, non ci sono belgi, non ci sono tedeschi, non ci sono olandesi, non ci sono inglesi. Manca mezzo mondo in una delle gare più mitologiche. Qualcosa non funziona. Da tempo. Evidentemente non solo a casa nostra. Anche la penisola iberica non è che faccia gran figura. Ho visto un paio di yankee correre bene dalle parti dei 27"30, niente male, ma la potenzialità degli Stati Uniti dovrebbe esprimere ben altro. Correre alla Prefontaine mi sembrava suicida, la gara è partita subito seria e quando Tadese ha messo giù l'acceleratore per ripararsi da imprevedibili ingorghi finali ho preso giri da 1'02" e 1'03".



Domenica 16 sono alla porta di Brandeburgo, le ragazze della 20 chilometri di marcia vanno su e giù per Unter den Linden, letteralmente “Sotto i Tigli”. Suona come una presa per il culo, non c'è ombra per loro nel giorno più caldo, partono a mezzogiorno e gli svenimenti a fine gara sono pane per i fotografi. La prima ad accasciarsi tagliato il traguardo è proprio la Rigaudo che con i suoi problemi di anemia non deve aver passato una bella mattina, poi una russa sembra accennare un passo di danza prima di essere raccolta al volo e barellata. Le immagini di questi piccoli collassi riempiranno i quotidiani del giorno dopo, sono il corrispettivo degli incidenti nella Formula Uno. Olga Kaniskina ha il viso sofferente da subito, anche quando ha lasciato la compagnia per involarsi inavvicinabile, il suo sorriso sul traguardo mi tranquillizza, non volevo vederla solo campionessa del mondo. Volevo vederla finalmente rilassata.

Gli amici italiani trasferiti a Berlino che lavorano su produzioni video sanno della mia ossessione.

Roberta e Marco ce la mettono tutta per distrarmi, il mercato turco, le tentazioni culinarie bizzarre. Il distretto dove abitano, Neukölln, è delizioso, qui è piacevole camminare senza mete turistiche, ogni piazzetta è una sorpresa, 139 etnie, qui i tedeschi si sono integrati bene. Al tavolo di un bar all'aperto fingo di parlare di cinema, Orson Welles, il leggendario piano sequenza che apre L'Infernale Quinlan, aneddoti sulla lavorazione de Il Padrino di Coppola, il cinema francese, quello europeo in generale, differenti punti di vista, Mike Leigh sì, Mike Leigh no, Happy-Go-Lucky film sorprendente o rottura di balle. Si arriva in fretta a parlare di quanto l'Italia vista da lì sembri un luogo ancora più impraticabile. Poi mi irrigidisco, stringo i braccioli della sedia e spalanco gli occhi come posseduto.



- Devo andare.

- Dove?

- Allo stadio.

- Anche oggi? Ma guarda che Berlino...

- Lo so. Ma devo andare.

- Quando.

- Ora. Adesso.

- A che fare?

- Ci sono i 3.000 siepi. E altro ancora.



La mia emotività li contagia e due attori di teatro italiani mi assecondano nella follia, memorizziamo il percorso in metropolitana aiutati dagli altri al tavolo e partiamo, potrei tatuarmi l'itinerario sul torace come il protagonista di Memento, così, come ricordo. Armando addirittura millanta di avere il numero di telefono di Elisabetta Caporale e cerca di chiamarla subito senza sapere esattamente quale privilegio ricavarne. Oscar sembra meno entusiasta, ma non si pentirà della spedizione, Bolt quella sera correrà un sonnacchioso quarto di finale dei 200, ma tanto basta. Mettono a fuoco che Berlino in questi giorni non è solo la metropoli intasata di artisti e locali trendyssimi e sperimentazioni. È Atletica Leggera in purezza. Lo sport più bello del mondo. Tutto qui parla di atletica, le pubblicità fanno martellante riferimento ai campionati e ai suoi eroi, il centro è punteggiato di atleti colorati, fisso i pass con invidia e curiosità. Il loro quartier generale è l'albergo Berlin, Berlin su Lutzowplatz. Tutto ha inizio da questo luogo, gli atleti che gareggiano in giornata escono dall'uscita secondaria, ben protetta, gli altri cazzeggiano in giro, sono esseri umani a tutti gli effetti, si scrutano le vetrate che danno sulla hall, si cerca di individuare lui, ogni giamaicano con i deltoidi affusolati fa gridare al miracolo i fan che presidiano. Sulle imprese precedenti alle sue sembra essere calato il bianco e nero di un immeritato oblio. Lui è il presente e il futuro. Ciò che forse non è mai stato. L'Atleta Perfetto, anche se mi si dirà che ogni epoca ne rivendica uno.

Come arrivo all'albergo vedo Alex Schwazer che parte per il penultimo allenamento prima della cinquanta scortato da Sandro Damilano in bicicletta. Christian Obrist mi parte sulla sinistra per una medio con la divisa della nazionale, arriva Gibilisco, ha la faccia scura ma determinata, Clarissa Claretti qualificata fresca. Avvicino Meucci, sembra sereno, spero non sia rassegnazione quella leggerezza nella gestualità e nella voce, decido che gli rompo le balle, la mia ragazza finge di non conoscermi, lo avvicino e gli chiedo come si scarica nei giorni immediatamente precedenti a un grande evento. Dice che oggi ( il giorno che precede la sua batteria dei 5000) ha corso mezz'ora. Penso e non dico, Solo? L'ultimo allenamento specifico lo ha fatto lunedì già a Berlino, giorno della gara giovedì. Non gli chiedo nei dettagli che ripetute ha corso, i tempi, e come sono le sensazioni.

Conosco bene la zona, ho soggiornato lo scorso anno al Berlin, Berlin. Questo albergo è strategico, poco distante da Tiergarten, il cuore verde della città, un reticolo di vialetti ossigenanti dove i berlinesi vanno a fare jogging. Non mi è difficile capire che tutti si allenano lì. Giapponesi, keniani, etiopi, cinesi, francesi. Tutti. Sembra che si debba correre un mondiale di cross country. Il giorno della mia partenza metto la sveglia e indosso canottiera e pantaloncini. Da Checkpoint Charlie vado verso i grattacieli taglienti di Potsdamer Platz e in dodici minuti sono nel bosco metropolitano. Individuo quasi subito tre mezzofondisti keniani, mi tengo a distanza rispettosa, sto dieci metri dietro, faccio tirare loro, come Bekele, corriamo più o meno a 3'40" a chilometro. Assurdo. È come se io corressi a cinque minuti a chilometro. Penso che a me non piace correre piano, fatico lo stesso e la falcata perde rotondità, sono disarticolato. Loro mantengono invece un incedere regale, le persone che li incrociano gli danno il cinque, poi guardano me poco dietro con rispetto e curiosità. E questo chi cavolo è? Stanno pensando.

Post Berlin. Ovvero Berlino in televisione. Rientrato in Italia ho trovato davvero la Rai in forma. Le redazioni si erano preparate al meglio, immagini d'archivio just in time, si sapeva che non c'era nessuna Pellegrini fuori dall'acqua, si poteva temere il peggio dalla spedizione italica e qualcosa si sarebbe dovuto inventare con guizzi d'improvvisazione. La telecronaca della Maratona maschile è stata un piccolo capolavoro. Splendida prestazione di Bragagna, professionalità, preparazione e grande cultura in senso lato. Zona emotiva e cognitiva a dialogare bene. Misura nell'evidenziare alcune pecche di formula, tipo la progressione nel salto in alto che ha accorciato le gare, ammazzandole. Monetti ha potuto dare il meglio, puntuale senza essere puntiglioso, l'intelligenza, la preparazione, la semplicità di Baldini stanno a raccontare che un grande campione non può essere solo gambe, Pizzolato sempre millimetrato. Chi ha seguito questa telecronaca ne usciva meno ignorante. Ditemi se può succedere una cosa simile in una partita di calcio. Certo la città aiuta, Bragagna lo ha detto chiaro. Berlino è la vera capitale d'Europa.

Saverio Fattori

Martedì 25 Agosto 2009 10:20

Etichette:

martedì 1 settembre 2009

MARCO RAFFELLI INTERVISTA ACIDO

Ho finito di leggere Acido Lattico. Un romanzo ambientato nel mondo dell’atletica, una finestra aperta sulla faccia oscura dello sport professionistico. La vita di Claudio Seregni stella del mezzofondo italiano. Un'anima sull'orlo di un precipizio, cattivo con se stesso e con il prossimo, indifferente agli attacchi altrui.

Acido Lattico è una rappresentazione di tanti piccoli drammi, fantasmi, paure e di insuccessi.

La storia si muove all'interno di un cerchio fatto di allenamenti duri, come solo 25 ripetute sui 400 sanno essere, sogni e speranze impossibili, un recinto chiuso con una perimetro di globuli rossi pesanti come catene, dopati fino alla morte.



In questi giorni ho parlato con l'autore, Saverio Fattori, ed è nata una conversazione sullo sport, vita e speranze di un mondo che a volte sembra non appartenerci più.



Saverio cosa sarebbe stato il personaggio del libro se non avesse fatto l'atleta professionista?



Claudio Seregni è quanto di peggio. Non esiste un atleta così. O forse sì. Però mi hanno fatto notare che nel corso delle pagine migliora, probabilmente è vero.

Poteva diventare umano, ma poi perde Clara prima ancora di averla incontrata e perde l'occasione. E' fondamentalmente un disperato, una persona infinitamente sola. Una solitudine incolmabile.

Non so cosa sarebbe stato Seregni, il punto è che ho usato l'atletica come scusa metafora per raccontare quanto stiamo male...



Il personaggio del tuo romanzo è duro, in un passaggio del libro il suo Doctor (curava la parte chimica della preparazione) è stato uno dei pochi ad avergli detto come vive e che fine avrebbe fatto, niente lui non ha mosso ciglio. La sua durezza ti ha permesso di fargli dire cose che altrimenti non avresti potuto o sbaglio?

Si, il Doctor alla fine lo descrive bene. Claudio Seregni è marcio, perché è chiuso in ss stesso, se anche fosse stato più dotato non ce l'avrebbe fatta comunque.

Ho indagato la psicologia delle giovani promesse non mantenute, i bambini prodigio spesso finiscono male. Come scrittore sono negativo di mio, ma mi sono stufato che si neghi la durezza dello sport professionistico, l'atletica è favolosa (figurati, torno da Berlino) tante belle facce sorridenti, ma tanti retroscena noi non li vediamo. Come scrittore il mio dovere è quello di mentire (non avendo prove) ma in modo intelligente, facendo finta di prenderci nel vero casualmente...

La mia speranza era che la storia di Acido Lattico funzionasse da metafora e che andasse al di là del microcosmo atletico.



Mi è rimasto un senso di nausea... gli occhi gialli degli atleti per le troppe sostanze assunte, il vomito, la pelle di cartone, vene gonfie di tutto. Come si fa ad arrivare fino in fondo?

Non scrivo cose tranquillizzanti, essere così nero anche con lo sport che amo è stata una sfida. Anche per il lettore. A lui chiedo di stare al gioco, di percorrere il viaggio “sbagliato” per continuare a odiare il doping ma cercando di “capirlo”. Attenzione, capire non vuol dire giustificare.

Non c' è nulla di demoniaco nel business corse nel mondo e affini. Nulla. Dico solo che in questi anni c'è stata troppa enfasi sul discorso maratona, sembra essere diventato un corpo a sé rispetto all'atletica leggera. La maratona è una costola dell'atletica, non viceversa. Questo equivoco nel tempo ha generato guasti in Italia esplosi a Berlino. Un grande maratoneta parte dall'attività su pista, comunque, ha corso i 1500 metri a 3,40.


Da settembre porterò Giulia, mia figlia, in pista alla Farnesina un paio di volte al mese, tanto per farle respirare l'aria, il suo sguardo sarà puro, chi ci sarà accanto a lei ?

Occhio, il mio libro è un noir, non è che gli atleti forti sono automaticamente dopati! Ho esagerato nel libro per ragioni di speculazione narrativa. Tua figlia vedrà ragazzi forti, sani e puliti, di talento alla Farnesina, stanne certo.


Cosa resta dello sport che ti permette di fare la stessa strada di un campione del mondo.

L'atletica leggera è lo sport più bello di tutti .Comunque. Sempre. Ecco cosa resta. Anche dopo Marion Jones che sembrava davvero l'icona della ragazzona pulita e di talento naturale spropositato. Ma dobbiamo tenere la guardia alta.


Io non mi sognerei mai di giocare con Totti all'Olimipco, ma di correre a NY con Baldini sì.

Infatti... tra l'altro la collaborazione di Baldini durante la maratona dei mondiali è stata sorprendente. Negli sport senza contatto fisico diretto, non ci sono particolari cattiverie. Siamo tutti concentrati su noi stessi.


Ecco l'atletica ha in sè il mito e l'indecenza di questo mondo.

Non sono d'accordo, sbagli la prospettiva. Il fatto è piuttosto che non possiamo pretendere che lo sport professionistico sia il nostro giardino incontaminato, quando il degrado etico e culturale sfonda da tutte le parti.


La differenza tra il tuo lavoro e quello di Covacich (A Perdifiato Ed. Einaudi) sta nella realtà dei fatti: A perdifiato è accattivante, Acido lattico è cattivo.

Io sono estremo, a volte irritante, ma Covacich non ci va mica leggero... secondo me la cosa scioccante di Acido sta proprio nell'uso dell'io narrante, come dicevo sopra costringe il lettore a calarsi nella parte... Covacich porta la narrazione all'acme della gara finale, Acido vive lo stallo del Deserto dei Tartari. Non dovrei dirlo, comunque Daniele Menarini che ha scritto la prefazione lo ha rilevato. Encomiabile.


Come ti sei documentato sulle droghe?

Avevo un amico culturista che mi raccontava particolari di certe pratiche anni fa (tipo la cosa del GH sottocutaneo e da tenere in frigo) poi ormai la rete è piena di informazioni. Sulla storia del doping in Italia anno Ottanta c' è “Campioni senza valore” di Donati e Sette. Oggi introvabile... come scrittore-atleta (amatore classe '67 quest'anno 9,23 nei 3000 e 16,40 nei 5000, tanto per inquadrare) sono comunque in grado di calarmi nel personaggio, anche io corro per battere gli altri e quando vado male (tipo al garetta chiusa malissimo stasera... cotto) vado un po' in paranoia.


La figura del preparatore com'è nata?

Il Doctor è inventato completamente, infatti è una figura stranissima nel mio libro, molto complessa. Non sono mai andato da un medico sportivo, mai fatto nemmeno una dieta. I due allenatori se ci fai caso riprendono lo standard dello sbirro buono e dello sbirro cattivo...


Chi non si dopa oggi nello sport? Ci sono atleti puliti? (puoi anche non rispondere).

Vado a naso. Oggi non penso ci sia un sistema federale dove il doping regni, penso che siano iniziative personali di atleti medi non più giovanissimi, forti ma non come vorrebbero loro. Ci sono atleti da 3 ore di maratona che fanno uso di sostanze illecite... io sarei per controlli anche tra gli amatori in gare su strada di prestigio, in pista ai campionati master già li fanno.

A me importa l'esplorazione dei nostri limiti, l'esplorazione di noi stessi. Io sono ossessionato dalla vecchiaia, mi alleno e gareggio per prendere per i fondelli il tempo. Sapendo che alla fine lui fotterà me.


Grazie Saverio a presto e buon passo.

L'intervista di Marco Raffaelli è uscita su Podisti.net ,MarioMoretti.it, Maratoneta.it

Etichette: , ,